Inchini, picchetti, guanti bianchi ed altre perversioni che ti consiglio di evitare se vuoi commemorare correttamente un tuo caro.
Ho notato in questi ultimi anni un proliferare di atteggiamenti alquanto insoliti da parte di impresari funebri che nel tentativo di rendere più importante il loro servizio e di differenziarsi dalla concorrenza hanno cominciato a mettere in pratica (spesso in maniera goffa) comportamenti che poco hanno a che vedere con la liturgia funebre, con le nostre tradizioni e con i significati che questi gesti veicolano.
Finora mi sono limitato ad osservare e a cercare di capire se questi comportamenti avessero un senso o un’utilità nella commemorazione di una persona che viene a mancare e nella successiva elaborazione del lutto da parte dei congiunti.
Dopo aver frequentato due corsi (base e avanzato) per diventare Cerimoniere Funebre e aver studiato i rituali, la loro funzione e i significati delle parti che li compongono sono giunto alla conclusione che queste pratiche non hanno alcuna utilità e anzi, rischiano di trasformare un momento solenne come l’ultimo saluto ad una persona cara in una farsa.
Ma come siamo arrivati a queste esagerazioni?
(se vuoi saltare questo excursus storico vai direttamente al paragrafo “L’essere diversi pur di essere diversi”)
Storicamente nessuno voleva fare il mestiere di impresario funebre.
I primi che si sono messi a fare questo lavoro nella maggioranza dei casi erano persone con pochissimi scrupoli e tantissimo pelo sullo stomaco.
Nessuno voleva avere a che fare col dolore degli altri, nessuno voleva portarsi a casa le sofferenze dei congiunti.